venerdì 27 settembre 2013

ONORE e FEDELTA': unione e fondazione!

gladio2.jpg A Gladio seal image by Horst777
Il tempo passa inesorabile, la natura fa il suo corso e le fila dei “Combattenti per l’Onore d’Italia” continuano ad assottigliarsi e, con loro, il numero degli iscritti e dei frequentatori delle “nostre” gloriose associazioni d’arma. Contemporaneamente, aumentano le difficoltà economiche, le spese di gestione delle sedi e le problematiche organizzative, soprattutto in questo periodo di forte crisi sociale. Questo straordinario patrimonio militare, storico, culturale e spirituale rischia di scomparire e di finire nell’oblio. Non possiamo assolutamente permetterlo, è nostro preciso dovere morale reagire, prendendo gli urgenti provvedimenti necessari: lo dobbiamo ai Camerati che ci hanno preceduto e che continuano a marciare “in spirito” al nostro fianco.



 
Il nostro appello è rivolto a tutti gli autentici patrioti, in particolare, ai vertici dell’ANAI (Associazione Nazionale Arditi d’Italia) e della UNCRSI (Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana). Bisogna costituire subito una Fondazione (assolutamente trasversale ed apartitica) che, in maniera assolutamente precisa e trasparente:
1) Trovi una degna sede unitaria per le due associazioni, in affitto, in Milano Città (aperta eventualmente anche ad altre realtà patriottiche come l’Associazione Combattenti X MAS, le Ausiliarie, i Paracadutisti, gli Alpini della Monterosa, i Volontari di Guerra, ecc…) che diventi anche archivio, biblioteca, museo e sacrario ufficiale dei Combattenti per l’Onore d’Italia, quindi degli Arditi e della RSI.
2) Raccolga, cataloghi, archivi, custodisca e tuteli tutto il patrimonio mobiliare (bandiere, labari, gagliardetti, medaglie, distintivi, divise, documenti, fotografie, cartoline, manifesti, libri, materiale musicale, antiquariato ed oggettistica) sia delle associazioni stesse che di lasciti privati, donazioni e magari anche di acquisti mirati.
 2) Gestisca l’ordinaria manutenzione delle tombe dei nostri Caduti (Cappella dei Martiri Fascisti al Cimitero Monumentale e Campo X al Cimitero Maggiore) e la doverosa partecipazione alle esequie dei nostri Camerati.
3) Organizzi e coordini le commemorazioni ufficiali (militari e religiose) dei nostri Caduti (1 novembre e 29 aprile) dei Piccoli Martiri di Gorla (20 ottobre) e, nella adeguate sedi apartitiche, le celebrazioni degli anniversari storici del 23 marzo 1919 (Fondazione dei Fasci di Combattimento in Piazza San Sepolcro a Milano) e del 28 ottobre 1922 (Marcia su Roma).
4) Organizzi iniziative culturali (come convegni storici), mostre e concorsi, studi e ricerche, corsi di formazione, iniziative di informazione e contro-informazione.
5) Si impegni ad acquistare una proprietà immobiliare, con un mutuo ed una sottoscrizione nazionale, che diventi stabilmente archivio, museo e sacrario per le future generazioni.
Milano, 27 settembre 2013
Firmato Sergio Spinelli
(Combattente della RSI, Volontario nelle Fiamme Bianche)
Sottoscritto anche da Roberto Jonghi Lavarini e Mario Mazzocchi Palmieri -

Verbania: in difesa della verità!



 

giovedì 26 settembre 2013

Camerata Silvio Bonazza: Presente!

 
 
 
La Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana, l'Associazione Fiamme Nere, Continuità Ideale e la redazione della rivista La Legione rendono l'estremo saluto al Camerata Avvocato Silvio Bonazza, anima critica ma militante fedelissimo ed appassionato: Presente!

lunedì 23 settembre 2013

Libertà di ricerca e dovere di verità.

http://excaliburitalia.wordpress.com/2013/01/13/olocausto/

OLOCAUSTO


QUELLO CHE GLI STORICI NON DICONO

La collaborazione tra nazisti ed ebrei e l’atteggiamento ipocrita dell’Occidente democratico

di Gianfredo Ruggiero

La Germania nazionalsocialista considerava pregiudizialmente gli ebrei come un elemento estraneo alla nazione. Durante la sfortunata Repubblica di Weimar (1919-33), quando la popolazione tedesca subì la più grande crisi economica e sociale della sua storia (a causa soprattutto degli enormi debiti di guerra imposti dalle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale), molti ebrei, nonostante rappresentassero meno dell’1% della popolazione, raggiunsero nel settore economico-finanziario posizioni di alto livello e di considerevole benessere tali da essere additati, a causa della loro presunta cupidigia, come responsabili della stato di crisi in cui versava la Germania. A ciò si aggiungeva l’atavico antiebraismo cristiano, il nazionalismo esasperato e il mito della purezza ariana dell’ideologia hitleriana. 
L’origine ebraica di Karl Marx, il teorico del comunismo, e di parte della dirigenza socialista tedesca, contribuì a rafforzare tale convincimento su cui basò la sua azione Adolf Hitler che fin da subito adottò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania (judenfrei), anche attraverso il sostegno all’emigrazione. Quest’ultimo aspetto rispecchiava l’ideale della patria ebraica preconizzata da Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista il quale, per quanto possa sembrare paradossale, concordava con i nazisti sul fatto che ebrei e tedeschi erano nazionalità distinte e tali dovevano restare.
Come risultato, il Governo di Hitler sostenne con vigore il Sionismo e l’emigrazione ebraica in Palestina dal 1933 fino al 1940-41 (1).
L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei trovò però forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, convocata da Roosevelt, dove i trentadue due stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni. L’unica nazione che si propose di accogliere rifugiati fu la Repubblica Dominicana che ne accettò circa 700, tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza (L’Italia fascista, invece, pur non avendo partecipato alla conferenza, da anni attuava una politica di ospitalità nei confronti degli ebrei).
L’atteggiamento ipocrita delle nazioni democratiche riguardo l’accoglienza degli ebrei è stato condensato in una frase di Goebbels che nel marzo 1943 poteva rilevare sarcasticamente:

« Quale sarà la soluzione del problema ebraico? Si creerà un giorno uno stato ebraico in qualche parte del mondo? Lo si saprà a suo tempo. Ma è interessante notare che i paesi la cui opinione pubblica si agita in favore degli Ebrei, rifiutano costantemente di accoglierli. Dicono che sono i pionieri della civiltà, che sono i geni della filosofia e della creazione artistica, ma quando si chiede loro di accettare questi geni, chiudono loro le frontiere e dicono che non sanno che farsene. E’ un caso unico nella storia questo rifiuto di accogliere in casa propria dei geni »(2).

Un episodio che testimonia il rifiuto dell’America ad accogliere gli ebrei riguarda la vicenda della nave St.Louis. Partita da Amburgo il 13 maggio 1939 con 937 profughi Ebrei, la nave era diretta a Cuba dove i migranti erano convinti di ottenere il visto per gli Stati Uniti. Sia Cuba sia gli Stati Uniti rifiuteranno però il permesso d’accesso ai rifugiati, obbligando così la nave a tornare in Europa.
Anche l’ipotesi di creare, prima nell’Isola di Madagascar e poi in Palestina, uno stato ebraico fallì per la forte opposizione di Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Fallirono anche le trattative condotte Ministro degli Affari Esteri germanico Helmut Wohltat nell’aprile 1939 con il governo inglese per un insediamento ebraico in Rhodesia e nella Guinea britannica (3).
Nonostante la sostanziale indisponibilità, che rasentava il boicottaggio, delle nazioni democratiche la politica emigratoria del governo nazista proseguì con l’istituzione dell’”Ufficio per l’Emigrazione Ebraica” con sedi a Berlino, Vienna e Praga che aveva il compito di agevolare il trasferimento degli ebrei e dei loro beni in Palestina. Furono anche organizzati dei campi di addestramento in Germania dove i giovani ebrei potevano essere iniziati ai lavori agricoli prima di essere introdotti più o meno clandestinamente in Palestina (all’epoca la Palestina era un protettorato inglese che si opponeva con forza alla colonizzazione ebraica, nonostante nel 1917 si impegnò formalmente, con la dichiarazione di Balfour del 2 novembre, a costituire il focolare ebraico in Palestina).
Fatto singolare e che nei circa 40 campi e centri agricoli della Germania hitleriana gestiti direttamente dal Mossad in cui i futuri coloni venivano addestrati alla vita nei kibbutz, sventolava per la prima volta quella bandiera blu e bianca che un giorno diventerà il vessillo ufficiale dello Stato di Israele (4).
Per liberarsi della presenza ebraica favorendo l’emigrazione in Palestina, il governo tedesco stipulò con le organizzazioni sioniste il cosiddetto “Accordo di Trasferimento” noto anche come Haavara, in virtù del quale gli ebrei emigranti depositavano il denaro ricavato dalla vendita dei loro beni in un conto speciale destinato all’acquisto di attrezzi per l’agricoltura prodotti in Germania ed esportati in Palestina dalla compagnia ebraica Haavara di Tel Aviv.
 
certificata HAAVARA
Certificato di trasferimento di capitali ebraici dalla Germania alla Palestina
 
L’accordo di Trasferimento è stato sottoscritto il 10 agosto 1933 dal Ministro dell’economia del Reich Kurt Schmitt e dal rappresentante del Movimento Sionista in Palestina  Haim Arlosoroff che agiva per conto del Mapaï, il partito Sionista antenato del partito Laburista israeliano. A questa iniziativa politico-commerciale parteciparono personaggi divenuti in seguito molto noti come i futuri Primi Ministri David Ben-Gurion e Golda Meir (che collaborava da New York)(5).
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, grazie all’ Haavara e ad altri accordi tedesco-sionisti, dei circa 522 mila ebrei presenti in Germania più della metà, 304 mila, poterono lasciare il paese con i loro beni superando il rigido embargo inglese. Alcuni di loro trasferirono in Palestina considerevoli fortune personali.
L’importo complessivo di danaro trasferito per mezzo dell’Haavara fra l’agosto del 1933 e la fine del 1939, fu di circa 139 milioni di marchi  (equivalenti a oltre 40 milioni di dollari). A cui si aggiungono ulteriori 70 milioni di dollari attraverso accordi commerciali collaterali. Grazie a questi trasferimenti e ai prelievi obbligatori imposti dal Movimento Sionista sulle transazion, furono costruite le infrastrutture del futuro stato ebraico in Palestina.
Lo storico ebreo Edwin Black sottolinea che i fondi ebraici provenienti dalla Germania ebbero un significativo impatto in un paese sottosviluppato com’era la Palestina degli anni ’30. Con i capitali provenienti dalla Germania furono costruite varie importanti imprese industriali, compresi l’acquedotto Mekoroth e l’industria tessile Lodzia. «attraverso questo patto, il Terzo Reich di Hitler fece più di ogni altro governo negli anni ’30 per sostenere lo sviluppo ebraico in Palestina» conclude Edwin Black(6).
Questa intesa portò successivamente ad un accordo commerciale tra Governo tedesco ed organizzazioni ebraiche con il quale arance e altri prodotti coltivati in Palestina venivano scambiati con macchinario agricolo tedesco(7).
Una immagine singolare che sintetizza meglio di altre la collaborazione tra nazisti tedeschi ed ebrei sionisti è la medaglia commemorativa coniata allo scopo dal Governo tedesco che reca su una faccia la svastica e sull’altra la stella di David.
 
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Medaglia commemorativa della collaborazione tra autorità tedesche e associazioni ebraiche sioniste durante gli anni trenta

Altra vicenda poco nota riguarda la nave passeggeri partita nel 1935 dal porto tedesco di  Bremerhaven con un carico di ebrei diretti ad Haifa, in Palestina. Questa nave, recava sul  fianco il suo nome, Tel Aviv, scritto in caratteri ebraici, e sull’albero sventolava la bandiera nazista con la croce uncinata. La nave di proprietà ebraica era comandata da un membro del Partito Nazionalsocialista(8).

Altro esempio della stretta collaborazione tra regime hitleriano e sionismo tedesco riguarda i gruppi giovanili ebraici come il “Bétar“ ed ai boy scouts sionisti cui fu permesso di indossare uniformi proprie  e di sventolare bandiere con simbolo dello Stato Sionista (cosa negata ad esempio ai gruppi giovanili cattolici, nonostante il Concordato).

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Manifestazione del gruppo giovanile ebraico tedesco Betar nel 1934

Intanto il governo britannico, da sempre ostile agli insediamenti ebraici in Palestina, impose delle restrizioni ancora più drastiche. In risposta a ciò, il servizio segreto delle SS concluse una alleanza con il gruppo sionista clandestino Mossad le-Aliya Bet  per portare illegalmente gli ebrei in Palestina. Come risultato di questa intensa collaborazione, vari convogli marittimi riuscirono a raggiungere la Palestina superando le navi da guerra britanniche pronte a colpire le imbarcazioni ebraiche. Nell’ottobre del 1939 era programmata la partenza di altri 10.000 ebrei, ma lo scoppio della guerra a settembre fece fallire il tentativo. Le autorità tedesche continuarono lo stesso a promuovere indirettamente l’emigrazione ebraica in Palestina negli anni successivi fino al 1941.

Una stima, seppur approssimativa, fissa in circa 800 mila gli ebrei che lasciarono i territori sotto il controllo germanico fino al 1941.

Con l’avvicinarsi della guerra ci fu la svolta e la posizione degli Ebrei cambiò in modo radicale. Il 5 settembre 1939, Chaim Weitzmann, futuro primo presidente dello stato di Israele, a nome dell’ebraismo mondiale si dichiarò parte belligerante contro i tedeschi e a fianco di Gran Bretagna e Francia (Jewish Chronicle, 8 settembre 1939). Questa vera e propria dichiarazione di guerra, che precedette l’identico atto del  marzo ’33, causò un inasprimento delle misure repressive contro gli ebrei e conferì ai nazisti una motivazione legale per la loro reclusione.

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La prima pagina del quotidiano londinese Daily Expressi del 24 Marzo 1933: “L’Ebraismo dichiara guerra alla Germania, Ebrei di tutto il mondo unitevi”. “Il popolo israelita del mondo intero dichiara guerra economica e finanziaria alla Germania. La comparsa della svastica come il simbolo della nuova Germania fa rivivere il vecchio simbolo di guerra degli Ebrei. Quattordici milioni di ebrei sono uniti come un solo corpo per dichiarare guerra alla Germania. Il commerciante ebreo lasci il suo commercio, il banchiere la sua banca, il negoziante il suo negozio, il mendicante il suo miserabile cappello allo scopo di unire le forze nella guerra santa contro il popolo di Hitler”.

Il diritto internazionale, infatti,  prevede  la possibilità di internare i cittadini di origine straniera per evitare possibili azioni di spionaggio a favore dei paesi di origine (art. 5 della convenzione di Ginevra), cosa che fece l’America con i cittadini di origine giapponese: dopo averli spogliati di tutti i beni confiscandogli casa, attività e conti bancari, furono rinchiusi in campi di concentramento in condizioni disumane. Verso la fine della guerra nel campo di prigionia di Hereford, nella ricca America, i soldati italiani che rifiutarono di collaborare con gli alleati venivano volutamente sottoalimentati e lasciati morire di tubercolosi, senza cure, sotto l’acqua o il sole cocente, in mezzo agli abusi dei carcerieri che non esitavano ad uccidere al primo cenno di insofferenza. Prima di loro gli inglesi avevano internato, durante la guerra contro i Boeri,  oltre 100 mila donne e bambini nei campi di concentramento in sud Africa,  di questi  27 mila morirono di stenti, malattie e malnutrizione (crimini passati sotto silenzio).

Lo scoppio del conflitto pose fine alla politica tedesca di incoraggiamento al trasferimento degli ebrei verso la Palestina (nel 1942 restava in attività nella Germania un solo Kibbutz a Neuend(9).

Tuttavia, nei primi anni di guerra, i rapporti tra nazisti e organizzazioni ebraiche non furono del tutto interrotti, ma si spostarono sul piano prettamente militare in funzione anti inglese, anche se  l’influenza che ebbero sugli avvenimenti bellici fu praticamente nulla.

Agli inizi di gennaio del 1941 una piccola, ma importante organizzazione sionista, Lehi o Banda Stern (il cui leader Avraham Stern fu assassinato dalla polizia britannica l’anno successivo), fece ai diplomatici nazisti a Beirut una proposta formale di alleanza per lottare contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è che uno di essi era Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele(10).

Con il proseguimento della guerra che richiedeva sempre più soldati al fronte e operai nelle fabbriche il governo tedesco abbozzò l’idea di utilizzare massicciamente gli ebrei nell’industria bellica. Dopo l’attacco alla Russia l’idea del lavoro forzato prese corpo e fu perfezionata nel corso della conferenza di Wannsee del  20 gennaio del 1942 con il definitivo abbandono della politica di emigrazione e l’adozione della cosiddetta “soluzione finale territoriale” (eine territoriale Endlösung) che sostituiva la politica del trasferimento con quella della deportazione di tutti gli ebrei nei campi di lavoro dell’est.

«Adesso, nell’ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con una direzione adeguata. In grandi squadre di lavoro, con separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale. Quanto all’eventuale residuo che alla fine dovesse ancora rimanere, bisognerà provvedere in maniera adeguata, dal momento che esso, costituendo una selezione naturale, è da considerare, in caso di rilascio, come la cellula germinale di una rinascita ebraica» (Dal protocollo di Wannsee del 20 gennaio 1942).

Gli studiosi dell’Olocausto hanno sempre sostenuto che il piano generale dell’ebreicidio nazista venne ideato nella riunione di Wannsee, ma Norbert Kampe direttore del Centro Commemorativo della Conferenza di Berlino, contesta questa tesi. Egli  afferma che la conferenza riguardò solo “questioni operative” e non fu in alcun modo una piattaforma di “processi decisionali”, confermato dal fatto che alla conferenza di Wannsee Hitler e i suoi ministri non erano presenti.

Dove erano situati grandi insediamenti industriali furono istituiti campi di lavoro, come per esempio la fabbrica di caucciù sintetico a Bergen-Belsen, la I.G. Farben ad Auschwitz, la Siemens a Ravensbrück, la fabbrica sotterranea delle V-2 di Mittelbau-Dora collegata al campo di Buchenwald.

Il compito di utilizzare al meglio i campi di concentramento come centri di produzione industriale fu affidato all’Ufficio Centrale di Amministrazione Economica delle S.S. diretto da Oswald Pohl.

Il lavoro coatto fu utilizzato anche dalla società di costruzioni Todt per il ripristino delle linee di comunicazione (strade, ponti ferrovie,) che venivano costantemente distrutte dai bombardamenti alleati. questi lavori, che richiedevano un’enorme massa di operai (più di 1.500.000 nel 1944), furono svolti in buona parte ebrei e prigionieri di guerra(11).

Un aspetto inquietante e poco dibattuto riguarda le linee ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati sapevano fin dagli inizi del 1942 dell’esistenza dei campi di concentramento eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale (come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia).

Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in imbarazzo i cosidetti “paladini della libertà”?

Nel “Giorno della Memoria” esprimiamo la nostra piena solidarietà al popolo ebraico per la persecuzione subita e la ferma condanna ad ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove, rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici dei carnefici.

Gianfredo Ruggiero

Note                                                                                                                      

1)    Il giornale ufficiale della SS, “Das Schwarze Korps”, dichiarò il proprio sostegno al Sionismo in un editoriale di prima pagina del maggio del 1935:

 « Può non essere troppo lontano il momento in cui la Palestina sarà di nuovo in grado di ricevere i propri figli che ha perduto per più di mille anni. A loro vanno i nostri migliori auguri ».

Gli ebrei sionisti a loro volta, nel settembre del 1935 dopo la promulgazione della legislazione razziale tedesca (leggi di Norimberga) che sancivano la netta separazione della comunità ebraica dal resto della nazione tedesca ponendo il divieto di matrimoni misti e altre pesanti limitazioni che andavano in tale direzione, dichiararono, attraverso un editoriale del più diffuso settimanale sionista tedesco, il “Die Judische Rundschau”:

« la Germania viene incontro alle richieste del Congresso Mondiale Sionista quando dichiara gli ebrei che oggi vivono in Germania una minoranza nazionale… Le nuove leggi danno alla minoranza ebraica in Germania la propria vita culturale, la propria vita nazionale. In breve, essa può creare il proprio futuro ».

 2)    Bernd Nellessen: “Der Prozesi von Jerusalem”, Düsseldorf/Wien, 1964, p. 201.

3)    Theodor Herzl, nella sua prima opera “Der Judische Staat” (Lo stato ebraico)  aveva  individuato, nell’isola di Madagascar il luogo ideale dove fondare lo stato di Israele. Questa ipotesi fu presa in seria considerazione dai nazionalsocialisti in quanto l’insediamento in Palestina, la patria ideale degli ebrei, avrebbe inevitabilmente portato ad un scontro con gli arabo-palestinesi (cosa che effettivamente avvenne a partire dal 1948). Tuttavia anche questa ipotesi fu in seguito accantonata a causa del netto rifiuto delle democrazie occidentali. La patata bollente ritornò, di conseguenza, nelle mani dei tedeschi che riprese l’opzione Palestina.

4)    Manvell e Fankl: “SS und Gestapo”.

5)    L’accordo di Trasferimento autorizzava i Sionisti a creare due camere di compensazione, la prima sotto la supervisione della Federazione Sionista Tedesca di Berlino, l’altra sotto la supervisione dell’Anglo Palestine Trust in Palestina. L’ufficio di Tel Aviv è stato chiamato Haavara Transfert Office Ltd.  Si trattò di un vero e proprio accordo commerciale che, fra l’altro, contribuì a rompere il boicottaggio mondiale anti-nazista organizzato contro la Germania. Le compagnie erano due: la Haavara, ebraica a Tel Aviv, e la Paltreu, tedesca a Berlino. Il deposito minimo era di 1.000 sterline inglesi presso la Banca Wasserman di Berlino oppure presso la Banca Warburg di Amburgo. Tom Segev in “Le septieme million”, ed. Liana Levi, 1993.

6)    Edwin Black: “The Transfert Agreement”, 1984; F. Nicosia: “Third Reich”; W. Feilchenfeld: “Haavara-Transfer”; Encyclopaedia Judaica: “Haavara”, Vol. 7.

7)    Questa sorta di baratto esteso a tutte le esportazioni/importazioni, cardine della politica economica nazista che contribuì alla ripresa della Germania dopo i disastri della Repubblica di Weimar, fu fortemente osteggiato dalle organizzazioni ebraiche non sioniste che, al contrario, sostenevano l’embargo dei prodotti Made in Germany.

8)    W. Martini: “Hebräisch unterm Hakenkreuz”, Die Welt , 10 gennaio 1975.

9)    Y. Arad: “Documents On the Holocaust”, 1981, p. 155.

10) http://holywar.org/Sio_Naz.htm.

11) Creata da Fritz Todt, l’organizzazione operò in stretta sinergia con gli alti comandi militari durante tutta la Seconda guerra mondiale. Il principale ruolo dell’impresa era la costruzione di strade, ponti e altre opere di comunicazione, vitali per le armate tedesche e per le linee di approvvigionamento, così come della costruzione di opere difensive: la Linea Sigfrido, il Vallo Atlantico e – in Italia – la Linea Gustav e la Linea Gotica.

Link

Falsificazioni fotografiche http://ita.vho.org/valendy/ugo.htm

campo di concentramento di Buchenwald: http://www.fncampoli.altervista.org/bw.htm

venerdì 20 settembre 2013

Walter Jonna: le ragioni di una scelta

Nel settembre di settant’anni fa, un giovane di 21 anni, Walter Jonna, reduce dalla campagna di Russia, appena dimesso dal Centro Mutililati e Invalidi di Guerra, si arruolò nella Decima. Come migliaia di altri giovani italiani. Ecco le ragioni della sua scelta

 



Walter Jonna: le ragioni di una scelta
           
            

La prima guerra mondiale, perché ci affascina ancora

di Marina Jonna
Come mai migliaia di giovani italiani si sono arruolati nella Xa Flottiglia Mas dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943? Sapevano di andare a morire, ma l’hanno fatto lo stesso. Dopo tanti anni è forse arrivato il momento di capire.
Vi racconto una storia, quella di Walter Jonna. Si arruolò volontario a 17 anni e combattè come alpino in Francia, Grecia e Russia. Tre croci al merito di guerra. Gravemente ferito a Nikolajewka, catturato dai Russi, miracolosamente sopravvive alla fucilazione. A Milano viene ricoverato al Centro Mutilati e Invalidi di Guerra. Rifiuta l’armistizio (8 settembre 1943). Raggiunge con le stampelle La Spezia dove si arruola il 13 settembre 1943 nella Xa Fl. MAS, reparto N.P. Il 28 aprile 1945 si salva da una seconda fucilazione, questa volta a Milano. I finanzieri che componevano il plotone si rifiutarono, dopo un suo discorso, di sparargli. Anni dopo, Luigi Ferraro, la Medaglia d’Oro delle gesta di Alessandretta, lo nominò Presidente Onorario dell’Associazione Combattenti Decima Flottiglia MAS.
Fin qui è storia. Per tutta la sua vita Walter Jonna ha cercato di spiegare al mondo il perché i giovani di allora fecero questa scelta nei suoi numerosi scritti e discorsi.
Ecco le sue parole:
1) L’articolo 5 del trattato di Alleanza italo-tedesca firmato a Berlino il 21 maggio 1939 così recitava: “…Italia e Germania si impegnano a non concludere un armistizio se non di comune accordo…” Se, senza dubbio, l’Italia fu costretta, dati gli eventi, senza altro attendere, a cessare la guerra nell’estate del 1943, i comportamenti dei capi militari italiani, in primis Badoglio e il Re Vittorio Emanuele III, per raggiungere tale conclusione sono stati però totalmente inqualificabili e indegni. Mentre il Gen. Castellano già trattava la resa con il nemico all’esterno, le affermazioni del Re e del Maresciallo d’Italia Badoglio, come assicurazioni per l’alleato germanico,…”La guerra continua, fedeltà all’alleanza con la Germania…” hanno finito di colpire l’Italia di  disprezzo e  disonore nel giudizio universale. Ancora oggi stiamo patendo le conseguenze di questa inaffidabilità nel mondo intero, "...est modus in rebus"
2) L’armistizio, (letteralmente sospensione delle ostilità) dell’otto settembre 1943 è risultato abilmente mascherato (armistizio corto, poi reso noto, armistizio lungo) per stabilire in realtà che si trattava a tutti gli effetti di una resa incondizionata con la consegna al nemico a Malta del bottino più ambito, l’intera flotta della Marina militare italiana, imponendo ai comandanti ed equipaggi la resa senza combattimento, il disonore più grave per un marinaio.
3) Il dramma dei reparti militari italiani, abbandonati a se stessi, senza ordini, con il “tutti a casa” in Italia e così anche per quelli dislocati all’esterno, con più gravi conseguenze, ha provocato purtroppo il crollo e la fine della coscienza unitaria nazionale.
4) Il giudizio degli stessi vincitori suggellò l’onta del disonore.
-Eisenhower: ”La resa fu uno sporco affare”
-Il Com.te Alexander (V° Armata USA): “ L’Italia capitolò saltando sul carro del vincitore”
-Il Com.te Montgomery (VIII° Armata Britannica): “ Il Voltafaccia italiano il più grande tradimento della storia”.
  In Inghilterra venne coniato il verbo “ to badogliate” nel senso tradire per avere vantaggi.
5) Oltre a quanto sin qui esposto, il rifiuto dell’armistizio e la decisione della mia generazione a combattere ancora il nemico, sia ben chiaro, non fu motivata da alcuna condivisione ideologica-politica: fascismo-Mussolini non c’entrano proprio; la maggioranza dei giovani volontari si è arruolata prima ancora della costituzione della R.S.I. e senza sapere nulla di Mussolini. La reazione all’armistizio fu immediata e la scelta fu un atto solo di carattere spirituale e di pulizia morale che non avrebbe mai aperto alcuna strada a valori materiale, terreni, ma anzi era carica, essendo certa la sconfitta, di nefaste prevedibili conseguenze per tutti i giovani volontari.
“…Fosse anche la mia purché l’Italia viva…” avevano scritto questi giovani volontari sul muro di una piccola chiesa abbandonata di Sant’Antonio a Pratolungo in Romagna mentre andavano a combattere, sul fronte del Senio, l’VIII armata britannica.
Non si conoscevano ancora i folli orrori Hitleriani, così come d’altra parte era per gli Alleati nei confronti dei folli orrori di Stalin.
Prevalse, per non tradirli, il ricordo dei tanti fratelli caduti con il nome della Patria sulle labbra disseminati sulle sabbie africane, nei monti di Albania, nella steppa ghiacciata di Russia.
6) – (dal testamento di J. V. Borghese)
“….In ogni guerra la questione di fondo non è tanto di vincere o perdere, di vivere o morire, ma di come si vince, si muore. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. La resa e il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo.
- (dal discorso di Benedetto Croce in Parlamento)
“…la guerra sciagurata, impegnando la nostra Patria, impegna tutti senza eccezioni, tutti noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra Patria, né dalle sue vittorie, né dalle sue sconfitte. I nipoti ed i pronipoti ci terranno responsabili e malediranno la generazione che ci ha lasciato vituperare, avvilire, inginocchiare la nostra comune Madre…”.
7) L’ultimo sommergibile della Marina militare della R.S.I. dalla base di Pola, dopo la fine delle ostilità (aprile 1945), continuò ancora per una settimana a navigare con il proprio equipaggio e a innalzare la bandiera tricolore della R.S.I. affiancata aquella inglese per disposizione dello stesso Ammiragliato Britannico.
Il nemico ha compreso quei ragazzi e alla fine ha concesso loro l’Onore delle armi.
I mezzi d’assalto della Marina militare della R.S.I. (Xa Flottiglia Mas), i loro scafi, nelle ultime missioni d’attacco (aprile 1945) non avevano alcun segnale di resa.
A poppa ha sempre sventolato una bandiera bianco-rossa-verde. A prua ha sempre garrito al vento un gagliardetto, da una parte azzurro con scritto in rosso Xa Flottiglia Mas, dall’altro bianco con scritto in azzurro “Per l’Onore”. Fino alla fine.
Questa generazione ha insegnato a tutti come si può perdere una guerra salvando l’Onore della Patria e della Marina.
Walter Jonna
 
Russia
Qui sopra, S.Ten. Walter Jonna reduce dal Fronte Russo: ferito nella battaglia di Nicolajewka da schegge di mortaio e con il congelamento di 3° grado ai piedi                                                   
 
Walter Jonna si è spento il 2 di agosto 2013, nell’Ospedale di Savona. Di lui restano i suoi insegnamenti e i suoi ideali espressi anche nel libro da lui scritto “Inseguendo un sogno - Noi i ragazzi della Decima” (edito da Ritter ).
E io so che è vero perché ero lì. Addio papà.
 

lunedì 9 settembre 2013

8 settembre, la morte della Patria



di Mario M. Merlino

8 settembre, settant’anni dopo. Non so cosa hanno scritto i giornali e se si riannoda il filo della memoria e se qualcuno ha ricordato la definizione di Ernesto Galli della Loggia su ‘la morte della patria’ o se altri si sono dati da fare per indicare agli sprovveduti e ai privi di conoscenza di quelli avvenimenti come, al contrario, essa sia rinata. E con essa la libertà e la democrazia… Ad esempio a Porta San Paolo, dove ogni anno si tiene una commemorazione tutta trasudante enfasi e menzogna, in memoria dei granatieri, omettendo che il generale Solinas, al comando della breve quanto inutile difesa, aderì alla Repubblica Sociale. Oppure alla divisione Acqui sterminata in malo modo dalla proverbiale ferocia dei tedeschi nell’isola di Cefalonia, omettendo anche qui come si sparò su dei zatteroni germanici mentre erano ancora in atto le trattative (e guarda caso furono ufficiali italiani che, sopravvissuti!, aderirono alla resistenza comunista avendone lodi e decorazioni).


Ed altro ancora… omettendo come furono gli inglesi, nell’immediatezza della resa – tuttora gabellata come armistizio –, che coniarono un nuovo verbo, to badogliate, per indicare un tradimento spregevole. E  le numerose e varie dichiarazioni del medesimo tenore, rinnovate ogni volta che si deve coinvolgere o meno l’Italia (nel 1997 proponendo gli Stati Uniti l’adesione al Consiglio permanente di Sicurezza dell’ONU di Germania e Giappone, le due nazioni sconfitte, e non del nostro paese, anch’esso collocato fra i vinti al tavolo della pace a Parigi, ma considerato inaffidabile). Sarebbe troppo facile sparare sulla Croce Rossa, si potrebbe parafrasare, ma non ci appartiene quel rito, italianissimo, di parlare male del proprio paese magari portandoci addosso i medesimi vizi deprecati e le scarse virtù, evitando però ogni tentativo di migliorarne l’immagine…

Beh, ognuno può raccontare in quale modo ha vissuto, quale è il  proprio ricordo dell’otto settembre. Penso a Mario Castellacci e al suo libro La memoria bruciata dove ‘il colore grigio della vergogna’ domina sulla zona di San Giovanni, a Roma, con decine di soldati cenciosi inermi inebetiti disfatti e un solo tedesco che li tiene con le mani in alto e sotto la minaccia della canna del mitra. Ugo Franzolin e le telescriventi del Ministero della Marina che battono ripetutamente dalle navi dai porti dalle basi per avere ordini e nessuno risponde, tutti si sono squagliati…

E ricordo quanto mi raccontava Mario C., diciotto anni, di famiglia ebrea, che si arrampica sul tetto dell’ascensore con sotto i condomini, guidati da un alto ufficiale, che contano di poter capire cosa sta accadendo, mentre si avverte il rombo del cannone e il cielo si arrossa verso porta San Paolo. ‘Guarda dove c’è il Quirinale.’ – gli intima l’ufficiale – ‘Se vedi il tricolore, vuol dire che Sua Maestà il Re è al suo posto e con lui la nostra salvezza. Sì, a destra, in fondo, una torretta…’. Scende una pioggerella lieve. E Mario: ‘Sì, sì, vedo la bandiera, ma… ma la stanno ammainando’.

Si volta, abbassa lo sguardo. Con le braccia appoggiate al muro l’ufficiale piange. Pochi giorni dopo si arruola con la promessa, l’unica richiesta del padre, di andare a combattere per l’Onore d’Italia, magari evitando di indossare la camicia nera…

8 settembre 1943 – 8 settembre 2013. E in mezzo, anno dopo anno, ogni anno, qualcuno che avevamo avuto accanto o soltanto parte di un mondo di un area, come ci piaceva definire la molteplicità della ‘nostra’ realtà, se ne distaccava, chi in silenzio e disperdendosi nel rumore degli altri forse con un po’ di nostalgia e rimorso e chi, al contrario, abbisognando di pubbliche abiure, di adorare chissà quali vitelli d’oro e per qualche posto posticino poltrona salotto anche in platea, seconda fila, purchè essere nel grande consesso liberatorio dai sensi di colpa, dal ‘ghetto’, muri di gomma ostracismo superomismi rovesciati.

Il tenente Mazzoni, ‘umilissimo e profondamente modesto e totalmente esaltato’, della legione Tagliamento, quando venne l’ordine di arrendersi nell’aprile del ’45 in Val Camonica, ‘non disse una parola… raggiunse uno spiazzo sotto un abete e si fece saltare le cervella con un colpo di pistola’ e (così scrive Giorgio Albertazzi, da pochi giorni novant’anni, nella sua autobiografia dal titolo Un perdente di successo) commenta ‘non si fa una guerra come quella, già perduta, se non per affermare proprio una realtà: essere disposti a morire per un’azione da compiere, un’estetica della morte’.



Disdicevole, inutile, da lettino dello psichiatra, erede in formato ridotto di quel ‘buffone’ di D’Annunzio, pattumiera della storia, quante ne abbiamo sentite e quante sulla nostra pelle noi che, in scala ancora minore, siamo cresciuti, non dirò per l’ennesima volta il motto che mi sono coniato con consapevole autocompiacimento, ma con Dostoievsky ‘solo la bellezza ci salverà’ e scoprire, al contrario, quanta bruttezza s’era incrostata in tanti di noi, un male oscuro e osceno un rodimento interiore un bubbone pestifero ad esplodere… ma, 8 settembre 2013, ancora levare al sole uno straccio di Idea, simile a bandiera di seta, e gettare al vento una canzone, ne abbiamo tante e tutte dagli accenti esaltanti, per un altro pezzo di strada, percorso di storia, certi che comunque e nonostante tutto siamo e saremo ‘belli’ finchè saremo qui ed ora ‘ai confini del nero’…

Associazione Campo della Memoria di Nettuno

Carissimi,
 
come sapete nella notte del 18/03/2013 ignoti sono penetrati nel Nostro Sacrario, depredando molte delle targhe che ricordavano il valore e le gesta dei Nostri Soldati. Dopo lunghissime trattative con l'Onor Caduti e del Comune di Nettuno, siamo arrivati finalmente ad una soluzione. Onor Caduti effettuerà ai primi di settembre tutti i lavori di riparazione al Nostro Sacrario ( bagni, muri, impianto idraulico e tutti i lavori di muratura). Il Comune di Nettuno eseguirà tutta la pulizia e la cura del verde. Purtroppo di più non siamo riusciti a fare, pertanto chiediamo a tutti Voi Amici e Camerati un piccolo contributo, onde poter rifare in marmo tutte le targhe che ci hanno sottratto e vorremmo installare un sistema di video sorveglianza per la sicurezza del Nostro Sacrario.
 


 
 

Per tali motivi abbiamo aperto un C/C presso la Veneto Banca ( Agenzia Parioli), qui di seguito vi forniamo l'IBAN: IT68H0503503202144570560646 intestato Associazione Campo Memoria.

Un comitato di quattro garanti: 1. Marcello Perina ( imprenditore)
2. Carlo Porfiri (Segretario Caravella)
3. Mario Russo ( Dirigente bancario)
4. Giangaleazzo Tesei (Presidente Caravella)
controlleranno che un solo Euro non vada disperso.

Sicuri del Vostro aiuto, pur conoscendo la situazione finanziaria in cui questi governanti ci hanno infossato, dobbiamo fare il possibile, per ridare dignità al Nostro Sacrario.
L' impegno che chiediamo a tutta la Nostra Comunità non deve essere gravoso per nessuno. A noi basta un segnale di appoggio a tutto quello che stiamo facendo per le Nostre idee.
Vi ringraziamo cameratescamente di quello che potrete fare.

Associazione Campo della Memoria

69° Anniversario della tragedia dei battelli “Genova” e “Milano”

La Federazione del Raggruppamento Nazionale Combattenti e Reduci della RSI-Continuità Ideale del Verbano-Cusio-Ossola e Novara, d’intesa con l’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI e con la locale Federazione dei Nazionalpopolari, comunica che
 
SABATO 28 settembre 2013 
 
si terrà la Commemorazione del
 
69° Anniversario della tragedia dei battelli “Genova” e “Milano”


 
 
con il seguente programma di massima:
- alle ore 9,30 un’imbarcazione deporrà una corona d’alloro davanti al pontile di Baveno dove, il 25 settembre 1944,  fu mitragliato, incendiato e affondato da aerei angloamericani il battello “Genova”, carico solo di civili, 31 dei quali perirono unitamente a 3 dipendenti della Navigazione Laghi;
- alle ore 10,30 al cimitero di Verbania-Intra  verrà deposta una corona sulla tomba che ricorda i Caduti Civili e Militari del battello “Milano” (ex tomba “Ignoti”) e verrà letta la Preghiera del Legionario;
- alle ore 11,00 davanti allo specchio di lago di fronte a Villa Taranto a Verbania-Pallanza un’imbarcazione deporrà una corona nel punto dov’è inabissato il relitto del battello “Milano”, mitragliato, incendiato e affondato da aerei angloamericani il 26 settembre 1944, con la morte di 10 militi del Btg.”M” Venezia Giulia e di un numero imprecisato di civili;
- alle ore 11,30 verrà celebrata la Messa di suffragio nella Cappella della Casa S.Luisa vicino a Villa Taranto;
la giornata terminerà con il ritrovo conviviale presso il Ristorante Il Chiostro della Famiglia Studenti di Verbania-Intra. 
Con l’occasione verranno nuovamente sollecitate l’Amministrazione Provinciale e quella del Comune di Baveno a rimuovere il parere “negativo” dato a suo tempo all’interpello della Segreteria Generale della Presidenza della Repubblica (da noi interessata) per la posa di un segno, targa, lapide, cippo, in ricordo dei civili morti sul battello “Genova”.
 
Per la Federazione del R.N.C.R.RSI-Continuità Ideale
e per la Federazione dei Nazionalpopolari del
Verbano-Cusio-Ossola e Novara
Il Presidente: Adriano Rebecchi

venerdì 6 settembre 2013

E' morto il Generale Ambrogio Viviani

I Combattenti UNCRSI ricordano il
 
Generale di Divisione Comm. Prof.
AMBROGIO VIVIANI
28.10.1929 - 3.9.2013
 
 
già Comandante della Brigata Paracadutisti Folgore e poi Capo dei Servizi Segreti Militari (SISMI), esempio di sana famiglia di militari "vecchio stampo", autentico patriota (amava ricordare di essere nato il 28 ottobre, anniversario della Marcia su Roma), fedele monarchico, più volte candidato con il Movimento Sociale Italiano del quale è stato anche Dirigente Nazionale e Parlamentare
 
 
È morto nella notte, alla clinica «I cedri» di Fara, il generale Ambrogio Viviani, colpito da un’emorragia cerebrale. Avrebbe compiuto 84 anni il 28 ottobre. Abitava a Oleggio. Aveva militato per trentasei anni nell’Esercito: era entrato in Accademia militare a Modena nel ’49 e nel ’58 conseguì il brevetto di paracadutista alla Scuola militare di Pisa. Dopo le Scuole di Guerra di Civitavecchia e tedesca, una carriera che lo portò al comando del 3º Reggimento bersaglieri, della 3ª Brigata meccanizzata Goito e della Brigata paracadutisti Folgore. E ancora: capo della sezione addestramento della Brigata cavalleria Pozzuolo del Friuli, della sezione regolamenti dello Stato Maggiore Esercito, Addetto militare all’estero, capo del controspionaggio dei Servizi Segreti italiani (Sismi) dal ’70 al ’74, vicecomandante della 17ª zona militare Piemonte-Liguria-Valle d’Aosta, raggiungendo il grado di Generale di divisione. Fu anche parlamentare nei Radicali e nel Gruppo Misto (’09-91). Negli ultimi anni si dedicava allo studio e alla divulgazione di avrie tematiche che aveva approfondito in vari ambiti, con conferenze e seminari. 
 
OLEGGIO – Si sono svolti oggi pomeriggio, giovedì 5 settembre, alla chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo di Oleggio, i funerali del generale Ambrogio Viviani, morto all'alba di martedì scorso, alla clinica “I Cedri” di Fara Novarese. Viviani avrebbe compiuto 84 anni ad ottobre. A celebrare le esequie, in una chiesa parrocchiale gremita di famigliari, amici e conoscenti, don Gianluca Villa, arciprete di Stresa. Tra i presenti anche molti bersaglieri e rappresentanti dell'Esercito. Cremonese di nascita, Viviani aveva militato per 36 anni nell'Esercito italiano. Era figlio del colonnello dei bersaglieri Francesco Viviani, deportato in campo di concentramento negli anni della Seconda guerra mondiale e deceduto per i postumi del lager in Germania. Entrato nell'Accademia militare di Modena nel 1949, nel 1958 aveva ottenuto il brevetto di paracadutista alla scuola militare di Pisa e, quindi, aveva frequentato la Scuola di Guerra di Civitavecchia e quella tedesca. Nella sua vita si era impegnato anche in politica. Attualmente risiedeva ad Oleggio. Lascia la moglie Maria Rosa, i figli Paolo, Francesco e Claudio e i nipoti.
 

giovedì 5 settembre 2013

Combattenti per l'Onore d'Italia

Dopo una serie di incontri, il Presidente della Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana, Comandante Armando Santoro (già Volontario nelle Fiamme Bianche e poi nella Legione Autonoma Ettore Muti) insieme al Capitano Francesco Lauri (Dirigente della Associazione Nazionale Arditi d'Italia), ad Attilio Carelli (Presidente del Comitato Centrale della Fiamma Tricolore e degno figlio della Ausiliaria SAF-RSI Donna Maria Grazia Miccoli), al Parà Conte Alessandro Romei Longhena, a Roberto Jonghi Lavarini (Presidente del Comitato Destra per Milano), a Franco Stefanizzi (webmaster e curatore dei siti ANAI e XMAS e della rivista La Cambusa), a Stefano Maricelli ed al Tenente Edoardo Polledri, ha concordato sulla assoluta necessità di garantire il passaggio del "testimone ideale" alle giovani generazioni, attraverso:
 
1 -  la selezione di una nuova classe dirigente;
 
2 - uno stabile coordinamento fra le storiche associazioni combattentistiche e d'arma (ANAI, UNCRSI e XMAS);
 
3 - l'auspicata, quanto oramai ineluttabile, apertura di una nuova e degna sede comune per le tre associazioni;
 
4 - la costituzione di una fondazione atta a tutelare l'importante patrimonio storico, culturale, documentale, militare e spirituale dei Combattenti per l'Onore d'Italia.